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10 Dic 2023

Padre Mauro Armanino: la vita in Niger dopo il golpe

A pochi giorni dall’avvenuto golpe di Stato nel Niger nella scorsa estate, tanta era la preoccupazione dinnanzi alla possibilità dello scoppio di una guerra che avrebbe colpito la popolazione costringendola a sofferenze e violenze di difficile gestione. “Questa guerra distruggerà la coesione sociale e il Niger diventerà ingestibile, chiunque lo governi”, così dichiarava l’arcivescovo di Niamey, mons. Laurent Lompo.

Al giornale ‘La Croix’ lo stesso mons. Lompo aveva confermato l’appello delle Conferenze Episcopali Unite dell’Africa Occidentale ad inizio agosto a tentare di custodire e preservare gli interessi di un popolo, promuovendo il dialogo e l’ascolto.

Trascorsi alcuni mesi ACI Stampa ha contattato p. Mauro Armanino, missionario della Società Missioni Africane (SMA) a Niamey, capitale del Niger, che ha tentato di raccontare l’attuale situazione nel Niger.

“Difficile generalizzare per un Paese così vasto e dalle frontiere differenti…la parte che confina col Ciad et nella zona del Lago Ciad non ha visto molti cambiamenti e forse neppure la zona che confina con la Libia e l’Algeria. Invece la parte del Paese che confina con Benin e la Nigeria è estremamente penalizzata dalla chiusura delle frontiere e dunque dell’impossibilità di importare tutto. Per un Paese già povero e dipendente dal commercio col Benin, Togo, Costa d’Avorio, Ghana, la chiusura delle frontiere non ha fatto altro che peggiorare una situazione già difficile aggravata anche dalla penuria di derrate alimentari, medicine e altre mercanzie necessarie per far funzionare l’economia, luce elettrica compresa. Un Paese economicamente in ginocchio e con problematiche prospettive future se non saranno ripristinate le vie commerciali”.
Una guerra lontana non solo geograficamente ma anche politicamente che mette ancora più in rilievo il ruolo di potere contro la lotta al terrorismo che sta piano piano prendendo la Russia.
Difficile dunque la situazione per tutti i cittadini, ma soprattutto per le comunità cristiane, che vivono in questi luoghi da stranieri, proveniendo originariamente da Paesi limitrofi, e temendo di diventare capro espiatorio in quanto possibili portavoce di una religione “straniera” ed “occidentale”.

Anche se negli anni si è cercato di coltivare con cura un dialogo interreligioso tra musulmani e cristiani, mancano e sono mancate le iniziative comuni e i “cantieri sociali” comuni attraverso i quali lavorare assieme su obiettivi concreti nell’ambito dei diritti umani”.

Un quadro davvero complesso dove anche il ruolo svolto da Padre Armanino nel servizio per i migranti passa in secondo piano vista la situazione difficoltosa data anche dalla chiusura delle frontiere che rendono problematici o addirittura pericolosi qualsiasi tipo di spostamento. Come ricorda Padre Mauro il massimo che si può fare è cercare “di essere presenti e di offrire un luogo di ascolto, aiuto e ‘riumanizzazione’ in un contesto di una violenza che mortifica l’umano”.
(ACI Stampa)