Era una notte mite, di luna piena, quella del 9 ottobre del 1963, a Longarone, ai piedi dell’enorme, nuovissima diga del Vajont, quando alle 22.39 con un rumore che i sopravvissuti ricordano come tremendo, 270 milioni di metri cubi di roccia scivolarono, alla velocità di 110 chilometri nel bacino artificiale che s’andava riempendo.
Capolavoro dell’ingegneria che sbarrava la grande gola del torrente Vajont e che rimase intatta pur avendo sopportato una forza 20 volte superiore a quella per cui era stata progettata venne superata da un’onda di 250 metri da una massa di milioni di metri cubi d’acqua che si riversò nella valle del Piave distruggendo gran parte dell’abitato di Longarone; risalì il versante opposto cancellando i paesi di Erto e Casso. Morirono in 1450 a Longarone, 109 a Codissago e Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e 200 in altre località.
Attorno alla mezzanotte se pur incerta e confusa si comprese la dimensione di un dramma spaventoso che, subito, si tentò di far passare come imprevedibile fatalità. Man mano che l’acqua del torrente Vajont affluente del Piave cresceva alle spalle dalla diga, il Monte Toc – Toc significa pezzo, blocco – il crollo prevedibile e previsto di blocchi di roccia nelle acque del bacino artificiale creato dall’enorme diga, hanno scatenato un’ondata che cancellò i paesi di Longarone, Erto e Casso.
Gli allarmi rimasero inascoltati compreso quello del pomeriggio precedente il disastro quando, di fronte ai movimenti sempre più evidenti del Monte Toc, si chiese lo sgombero del paese. Boscaioli, falciatori, cacciatori, contadini, operai – la gente della Longarone degli anni Cinquanta – sapevano di spacchi, di rocce in movimento, sentieri che si spostavano, larici e abeti inclinati, di frane, di massi rotolati a valle dopo ogni pioggia, giù nel letto brullo del torrente.
A Longarone, il cimitero ospitava le salme di 1.464 vittime del disastro, di cui solo 700 con il nome. Il cimitero è stato completamente ristrutturato nel 2003, con la discussa rimozione delle lapidi originarie. Attualmente presenta 1.910 cippi bianchi con tutti i nomi delle vittime della tragedia, a prescindere o meno dall’effettivo ritrovamento e della giusta corrispondenza nome.
Siamo sulla soglia dei sessanta anni, il Vajont è un ricordo lontano, ma ancora terribile anche per quella via della giustizia disseminata d’ostacoli denunciati, mai ascoltati, sì perché come scriveva Enzo Biagi nell’articolo di fondo del 26 luglio 2000 “Dopo quasi 37 anni si è chiusa, con una cerimonia solenne a Palazzo Chigi, la pratica Vajont: le famiglie delle 2000 vittime della frana hanno ricevuto un risarcimento. Solenne”. Continua Biagi: “Solenne sta per grandioso, magnifico, splendido, e anche straordinario, mentre – ripeto 37 anni di processi e di varie interpretazioni, unica certezza i 2000 morti – la descrizione più propria del fatto sarebbe: senza alcun rito è stato burocraticamente archiviato, il fascicolo Vajont in attesa da qualche decennio”.
(L’Adige)
Crediti fotografici: Wikipedia – US Army