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13 Mag 2021

13 maggio 1981: l’attentato a Giovanni Paolo II

“ Dio ha racchiuso tutto nella disobbedienza per dimostrare a tutti la misericordia”.

Questa frase è scritta negli appunti che Giovanni Paolo II teneva durante gli esercizi spirituali in Vaticano. Era febbraio del 1982, nove mesi dopo l’attentato in Piazza San Pietro che lo aveva ridotto in fin di vita. Il Papa era certo che ogni peccato, ogni disobbedienza, è permessa perché Dio possa mostrare la Sua misericordia.  E questa era stata l’esperienza diretta di Giovanni Paolo II.  Questa è stata anche l’esperienza di tutta la Chiesa che si è riunita attorno al Papa, sconvolta e in preghiera.

Basta rileggere alcune testimonianze dell’epoca. Come quella del cardinale di Praga  Frantisek Tomásek che era in piazza in quel pomeriggio del 13 maggio del 1981. “ Non si può esprimerlo a parole; bisogna averlo visto!”.

Fu proprio lui in una intervista alla Radio Vaticana riportata nel libro di padre Sebastiano Labo SJ, a raccontare quei momenti.

Tutti ricordiamo le immagini del Papa sorridente che rimette nelle braccia del padre un bambina bionda, poi… “ mentre egli sta riconsegnando sorridente al padre una bambina irradiante gioia per essere stata nelle braccia del Papa e averne ricevuta la benedizione, accade qualcosa all’improvviso come un lampo a ciel sereno. S’odono alcuni spari, il sacerdote polacco Stanislaw Dziwisz, segretario personale del Papa e l’aiutante di camera Angelo Gugel afferrano sotto le braccia il Santo Padre che s’affloscia mentre la sua bianca veste talare si arrossa di sangue”.

Il primo impatto sul mondo è questo. La jeep dove è il Papa corre a tutta forza verso l’Arco delle Campane, poi attraversa lo Stato e arriva al piccolo ambulatorio del Vaticano.

Il Papa viene adagiato per terra. All’ingresso degli ambulatori vaticani c’è una mattonella che ricorda quel momento. Come in Piazza San Pietro nel luogo dell’ attentato non lontano dal Portone di Bronzo. Non sono state messe subito queste due “pietre della memoria”, per discrezione? Ma alla fine il senso della storia ha avuto ragione.

Torniamo al 13 maggio, lo sparo avviene alle 17,17. Alle 18 il Papa è già sul tavolo operatorio al Policlinico Gemelli. L’intervento finisce alle 23.30 circa. Il Papa ha perso molto sangue, si sono dovute fare diverse trasfusioni, ma non sono stati colpiti organi vitali.

A Roma intanto si procede a capire chi è l’attentatore, un turco Mehemet Ali Agca. E’ stata una suora a placcarlo mentre cercava di fuggire tra la folla dopo gli spari.

Nell’attentato sono rimati feriti anche due donne statunitensi, ricoverate entrambe. La piazza resta in attesa e in preghiera guidata da un padre gesuita che da anni guida i pellegrinaggi polacchi. Alterna il Rosario alle notizie che arrivano dal Gemelli.

Si va avanti fino a mezzanotte quando arriva anche la notizia della presenza del Presidente della Repubblica Italiana al Gemelli. Sandro Pertini, 83 anni socialista e ateo visita e saluta Giovanni Paolo II. Loro sono amici, c’è uno scambio di cordialità tra i due. Che durerà per tutta la vita.

Fino a domenica il mondo tiene il cuore sospeso. I fedeli pregano per il Papa, gli altri attendono notizie di un evento storico. Si moltiplicano messaggi, testimonianze, interviste. Anche se la situazione mediatica del 1981 non è quella di oggi, il flusso delle informazioni è costante.

Non tutti però sono preoccupati per la salute del Papa. Le cronache dell’epoca riportano di un applauso alla notizia di un gruppo di manifestanti pro aborto.

In quei giorni infatti in Italia si sarebbe votato il referendum per l’abolizione della legge che legalizzava l’aborto.

Ma a rispondere c’è la preghiera dei romani. Il cardinale Vicario Ugo Poletti chiama a raccolta i fedeli per le sera del 14 maggio alle 21 in Piazza San Pietro per la recita del Rosario. Succede lo stesso un po’ ovunque.

Inizia un rito particolare per i giornalisti: l’attesa del bollettino medico nell’ atrio del policlinico Gemelli. Non ci sono sms e mail. Si va, si aspetta, ci si accalca per avere un pezzo di carta fotocopiato, si chiama qualche amico dottore. Così almeno due volte al giorno.

Intanto alla Radio Vaticana arrivano messaggi da ogni parte del mondo, lettere, cartoline anche telefonate.

Intanto arriva il 17 maggio, sono passati 4 giorni e il Papa non è ancora fuori pericolo. Ma il Papa non vuole perdere l’appuntamento per il Regina Coeli. La gente in piazza in silenzio ascolta la sua voce. Debolissima ma decisa. In tutto 90 parole che si concludono con una frase che segna la storia: “ Prego per il fratello che mi ha ferito, e al quale ho sinceramente perdonato. Unito a Cristo Sacerdote e vittima, offro le mie sofferenze per la Chiesa e il mondo. A Te Maria ripeto: “Totus tuus ego sum”.”

(ACI Stampa)