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01 Mar 2025

Carlo Cecchi racconta il santo bevitore di Joseph Roth

Una ragazza si siede al tavolino di un caffè a Parigi e comincia a leggere ‘La leggenda del santo bevitore’ di Joseph Roth, che è anche il titolo di questo spettacolo che si replica all’Argentina di Roma fino a domenica e il 5 sarà a Rovereto e poi in tournée. Mentre lei legge, al bancone di quel locale si materializza lo stesso Roth che sta finendo di scrivere quel suo libro, il suo ultimo e pubblicato postumo nel 1939, e a sua volta lo legge al barista che gli versa da bere, così, in un alternarsi di terza e prima persona, questi diventa anche il protagonista del racconto, il clochard Andreas buon bevitore.

Quest’uomo, che vive sotto i ponti della Senna da quando è uscito di prigione, dove arrivò per colpa di Caroline, l’unica donna di cui si ricordi tra le tante avute, una sera incontra lungo il fiume un elegante signore che forse ha bevuto e è diventato allora generoso come il milionario di ‘Luci della città’ di Chaplin, il quale gli regala 200 franchi, a patto che un giorno li restituisca portandoli nella chiesa di Santa Maria di Batignoles alla giovane Santa Teresa di Lisieux che li si venera. È l’inizio di un periodo in cui Andreas cerca per più giorni di tener fede alla promessa di restituzione, ma nel percorso verso la chiesa ogni volta succede qualcosa che lo distrae, la vita lo porta per un altra strada, che comunque poi finisce sempre con un nuovo ‘miracolo’, col fargli riguadagnare i sodi che gli servo e anche molti di più. Ecco un ricco signore che gli offre un lavoro, poi l’incontro Con caroline, quindi l’apparizione di un celebre calciatore che fu suo compagno di banco ed è generoso col vecchio amico, infine un lavoratore con cui era stato in miniera.

Eppure il connotato del suo essere è la solitudine e questa rincorsa tra alti e bassi, alterne fortune, debolezze umane e una sorta di candore, di virile senso dell’onore e fiducia in un domani che finisce sempre annegato nell’alcol, il vino di Andreas e l’acquavite che chiede il Cecchi-Roth al barista, impersonato da Giovanni Lucini, mentre la ragazza è Claudia Grassi, tutti e due con troppo poco spazio per dimostrare e hanno delle qualità. Uno spettacolo, prodotto dal Teatro Franco Parenti, che suscitava molte attese per la peculiarità del personaggio e la possibile identificazione esistenziale e sentimentale con Andreas di uno dei nostri grandi interpreti della difficoltà di vivere quale è Cecchi, che ha da poco compiuto 86 anni.

Invece, al di là del gioco di rispecchiamenti creato dalla regia di Andrée Ruth Shammah e della scena di Gianmaurizio Fercioni rigata di pioggia come lacrime di un pianto, tutto si limita a una lettura, da cui l’attore prende quasi le distanze col suo tono ironico e distaccato. L’andamento è solo affabulatorio forte della sua inconfondibile voce, ora più cupa e incisiva, ora più strascicata lenta, ora più veloce senza una vera ragione in questo percorso verso la morte bella e dolce del clochard alcolista. Insomma, nulla a che vedere col passato e le possibilità di Cecchi davanti un simile personaggio, che qui non prende vita, ma resta racconto, con una bella scelta di musiche. (ANSA)