Il primo appuntamento del secondo giorno in Portogallo per Papa Francesco è l’incontro con i giovani universitari presso l’Universidade Católica Portuguesa di Lisbona.
Essere pellegrini – ha esordito il Papa – “vuol dire lasciare da parte la routine abituale e mettersi in cammino con un’intenzione, muovendosi fuori dalla propria zona di comfort verso un orizzonte di senso”.
“Non dobbiamo aver paura – ha aggiunto – di sentirci inquieti, di pensare che quanto facciamo non basti. Essere insoddisfatti, in questo senso e nella giusta misura, è un buon antidoto contro la presunzione di autosufficienza e il narcisismo. L’incompletezza caratterizza la nostra condizione di cercatori e pellegrini. Preoccupiamoci piuttosto quando siamo disposti a sostituire la strada da fare con un qualsiasi punto di ristoro, purché ci dia l’illusione della comodità; quando sostituiamo i volti con gli schermi, il reale con il virtuale; quando, al posto delle domande che lacerano, preferiamo le risposte facili che anestetizzano”.
Agli universitari Francesco chiede di cercare e rischiare perché “non siamo in un’agonia, bensì in un parto; non alla fine, ma all’inizio di un grande spettacolo. Siate dunque protagonisti di una nuova coreografia che metta al centro la persona umana, siate coreografi della danza della vita”. Di qui l’invito a sognare, a non essere “amministratori di paure, ma imprenditori di sogni! Sarebbe uno spreco pensare a un’università impegnata a formare le nuove generazioni solo per perpetuare l’attuale sistema elitario e diseguale del mondo, in cui l’istruzione superiore resta un privilegio per pochi. Se la conoscenza non viene accolta come responsabilità, diventa sterile”.
“Il titolo di studio – ha sottolineato il Pontefice – non deve essere visto solo come una licenza per costruire il benessere personale, ma come un mandato per dedicarsi a una società più giusta e inclusiva, cioè più progredita”.